Dopo la pace del 1866 i detenuti politici vennero liberati,
meno Carlo Favetti che continuò a restare chiuso nella
sua squallida prigione. Vittorio Emanuele II, informato del
fatto, telegrafò a Vienna "O liberate il Favetti,
o io sospendo la pensione agli ex impiegati austriaci nelle
mie province...!". La minaccia sortì buon effetto,
ma ben presto il Favetti tornò a cadere in disgrazia, e allora si trasfer assieme alla famiglia a
Venezia. Questo fu il nonno dell'irredento Guido - il padre
era proprietario delle cave di marmo di Aurisina. Il suo diario
tratta della sua vita come ingegnere in Africa, i suoi innamoramenti
e la volontà di combattere per la liberazione dei territori
italiani.